Facciamolo!

Alla ricerca di un’etimologia per l’espressione ‘fare (al)l’ amore’ mi sono imbattuta in questo spassoso glossario in cui alcuni noti autori italiani forniscono il neologismo che potrebbe, secondo loro, prendere il posto della locuzione standard.
Riflettendo da un punto di vista linguistico a questa espressione, dal canto mio, evoco due immagini: la prima proveniente dall’uso che se ne fa nel mio dialetto di provenienza, quello del Montefeltro, incarnato per me da mia nonna; la seconda da un quadro di Chagall, raffigurante due amanti che volano insieme su sfondo rosso, nella serie che illustra il Cantico dei Cantici.
Nel Montefeltro si usa la locuzione ‘fare l’amore’ come fosse sinonimo di ‘stare insieme’. Nei suoi racconti sulle storie del villaggio arriva sempre il momento in cui, parlando di un personaggio che non conosco, mia nonna mi dice: «hai presente quello che fa l’amore con la figlia di…». Io non ho presente mai, ma l’espressione mi fa sempre sorridere.
Nel quadro di Chagall, invece, si percepisce un movimento, una sorta di tendenza immaginaria, un moto a spirale che spinge gli amanti, in virtù del fatto che sono insieme, come una cosa unica verso l’alto.
«Facciamo l’amore!»
Come si dicesse, allora, «siamo insieme, creiamo l’amore, costruiamolo, diamogli forma, mettiamo i mattoni che servono a stabilirne e renderne solide le basi».
Guardando alla questione sotto questa luce per la prima volta, constato che si tratta di una luce interessante. Soffusa e calda, accogliente come quella che a molti piacerebbe forse avere accanto al letto quando uno dei due prende l’iniziativa e propone, nel suo personalissimo modo, verbalizzato o meno, il proprio «allora… facciamo l’amore?».
Allora, facciamolo, questo amore!
Alcuni ingredienti sono estremamente essenziali e mi pare tutt’altro che banale ricordarli.
Due persone per cominciare. Non si può fare l’amore da soli.
Certo, ci si può trastullare e ammazzare il tempo altrimenti, ma non facendo l’amore. L’amore si fa decisamente in due. «In due o più», qualcuno potrebbe avere la voglia di obiettare. E sia. In questo caso si esce da quella nozione classica, in parte romanticamente definita, in larga, probabilmente preponderante misura socialmente prestabilita ai fini del prosperare della società, di amore esclusivo. Nulla in contrario, basta esserselo detto in anticipo. Vorrei tralasciare questo ambito per ora e attenermi soltanto all’amore nel senso monogamico del termine.
Due persone abbiamo detto. Ma non basta.
Due persone che siano disponibili a condividere, essere presenti a se stessi e all’altro, senza che una di queste due facce della stessa medaglia prevalga specialmente sull’altra.
Questo mi sembra essere l’ingrediente che più ci sfugge: una presenza autentica, una reale condivisione. Sì, perché a leggere e sentire parlare di sesso e sessualità, quantomeno in una retorica abbastanza diffusa e condivisa, pare sempre si stia disquisendo di un affrontamento – noi contro voi, le donne o gli uomini, il piacere di lei o quello di lui, la libidine di lei o la prestazione di lui, il mal di testa di lei o la frustrazione di lui, le tette stratosferiche di lei o il pisello lunghissimo di lui, le cosce grosse e cellulitiche di lei o il pisello non abbastanza duro di lui – dal quale, purtroppo, si finisce per uscire tutti almeno in parte sconfitti, questo il mio parere.
Non voglio sostenere qui che nessuno o pochi riescano ad ottenere del sesso veramente appagante o a condividere molto intimamente momenti di sessualità soddisfacente, parlo piuttosto del prezzo che si paga per riuscirci e delle difficoltà che si incontrano – e potrebbero forse essere evitate o lenite – quando non ci si riesce.
Mi pare che troppo raramente si parli della coppia come un tutto, di cui due persone fanno semplicemente parte. E altrettanto raramente si parla del sesso come qualcosa che viene creato e costruito – così come molte altre cose, per esempio la fiducia, la confidenza, la complicità, la coabitazione, la famiglia – tra due persone. Se si crea, dimostrazione d’affetto dopo dimostrazione d’affetto, bisogno ascoltato dopo bisogno ascoltato, la propria fiducia nell’altro; se si diventa complici, sguardo dopo sguardo, segreto mantenuto dopo segreto mantenuto; se si costruisce, mattone dopo mattone, oggetto d’arredamento dopo oggetto d’arredamento, la propria casa, perché non si edifica l’amore allo stesso modo, carezza dopo carezza, orgasmo comune dopo orgasmo comune?
Questo in realtà succede e anche quotidianamente in molte coppie, ma in un certo senso non mi rivolgo a loro, che sembrano avere già amalgamato tutti gli ingredienti della loro personale e gustosissima ricetta. Vorrei parlare invece a e con chi non vede questa stessa linearità nel processo e cercare di chiedermi, insieme a costoro, come rendere più facilmente percorribile il cammino in questo senso, cosa fare se qualcosa va storto.
Il primo contributo è questo: facciamo l’amore!
Facciamolo nel senso etimologico dei due termini ‘fare‘ e ‘amore‘, quello di mia nonna, quello degli amanti di Chagall. Facciamolo insieme, non 1 + 1 = 1 (o peggio ancora 1 vs 1 = 0), ma nemmeno 1 + 1 = 2, bensì 1 + 1 = 3, vale a dire io, tu e l’amore.

Informazioni su chiara mazza

Classe '82, sono dottore di ricerca in linguistica, amo le lingue e i viaggi, la psicologia, le filosofie. Mi piacciono soprattutto le parole. E le storie fatte di parole. E i pezzi di parola che fanno le storie. E il parmigiano. A scaglie, con l'aceto balsamico sopra.

Un Commento

  1. Poesia, oserei dire.
    GEORGE BENSON – YOU CAN DO IT BABY

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  2. Facciamo-Lo. Elissi dell’oggetto, calore e sostanza, cui si fa allusione. Esprime una forte censura sul tema dell’amore-erotismo-sessualità che la nostra contemporaneità, nonostante le apparenze, elude. Rispetto a tempi passati ora possiamo pensare e vedere tutto e per questo, credo, immaginiamo molto meno. E senza immaginazione la natura delle cose si riduce a dati assettici, l’amore-erotismo-sesso diventa “quella cosa lí”. Il fare all’amore, all’antica, era cosa indicibile da spiegare come meccanismo, proprio perché non indicava una sequenza ma un quadro tematico: il passeggiare assieme, il conversare (dove le pause significavano più delle parole) la vicinanza fisica, il piacere che sono brividi di emozioni e non… un quadro a pastelli, sfumato, ma nell’insieme, proprio perché fortemente immaginato, concreto. Ora conosciamo tutti i più segreti ingranaggi, su piano fisico e psichico, ma della cosa complessiva raramente non rimane altro che “quella cosa lí”.

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